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\\ Premio Internazionale 
Rahila Saya
Giornalista e attivista afghana

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Il Medio Oriente continua ad essere una delle aree di massima tensione al mondo e a patirne le conseguenze sono milioni di persone costrette a vivere tra continue privazioni, in una situazione di instabilità e violazione dei propri diritti fondamentali.

Il ritiro delle truppe americane e dei loro alleati dall’Afghanistan, dopo vent’anni di occupazione, ha alterato gli equilibri già fragili della tenuta del territorio. Esclusa la parte Nord, la zona del Panshir, il resto del Paese è caduto in mano ai talebani. Gli afghani scappano dalle loro case, fuggono dal loro Paese per la paura di possibili ritorsioni e di un ritorno ad un passato privo di libertà civili. La convivenza e la pace auspicata tra le diverse fazioni con la resa dei governanti locali e la presa del potere da parte degli estremisti sembra sempre più improbabile.  

L'accordo firmato a Doha, in Qatar, tra Stati Uniti e rappresentanti dei Talebani puntava a riportare la pace in Afghanistan dopo quasi 20 anni di conflitto, con l'apertura di un tavolo di pace tra militanti islamisti talebani e il governo afghano senza l’interferenza di Stati stranieri, che avrebbero lasciato progressivamente il controllo del territorio. La rapida avanzata dei Talebani ha destabilizzato i programmi di dismissione degli Stati Uniti e delle Forze Alleate, che si sono trovati a fare i conti con una difesa locale inefficace e la richiesta di asilo da parte di diversi cittadini che chiedevano protezione per aver collaborato con loro durante l’occupazione del Paese Mediorientale.

Tra questi vi è anche la giovane giornalista e attivista Rahila Saya che all’alba del 25 agosto è riuscita a lasciare Kabul grazie all’intervento del console Tommaso Claudi e le forze di sicurezza italiane. Ha poco più di vent’anni, studia Legge e Scienze politiche all’Università di Kabul ed è uno dei volti di punta dell’emittente Radio-TV Andisheh.  


Ha spesso collaborato con i media italiani senza risparmiare critiche severe ai talebani, che per intimidirne l’azione l’hanno anche minacciata più volte. Nei suoi servizi, documentari e reportage da diverse parti dell’Afghanistan ha spesso raccontato storie di coraggio di donne, bambine che combattevano per l’affermazione delle loro libertà civili in un Paese in costante conflitto. L’attenzione verso questi temi rientrava nel tentativo di motivare altre donne a difendere il loro ruolo nella società contro l’idea di un Impero di soli uomini come avveniva negli anni Novanta.  

Nonostante le intimidazioni, i tentativi di depistaggio e le insidie in una terra difficile non ha mai rinunciato al suo lavoro, a dare voce alla parte debole del suo popolo. Un anno fa palesava tutte le sue preoccupazioni e i timori nel raggiungimento di una pace duratura e sostenibile in Afghanistan denunciando l’incremento del terrorismo e la paura di una nuova guerra interna tra oppositori e sostenitori dei Talebani. 
Il suo sogno di avere una Nazione pacifica in cui lavorare, vivere e crescere impegnandosi per favorirne la stabilità rischia di naufragare sotto la spinta estremista di un passato che ritorna.

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