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\\ Premio Cinema
Dante
Regia di Pupi Avati

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Pupi Avati è nato a Bologna il 3 novembre 1938. Seguendo il suo grande amore per il jazz, durante il periodo universitario entra come clarinettista nella Rheno Jazz Band, con la quale suonerà in tutta Europa fino alla vittoria del Festival Europeo di Antibes. Nel 1968, insieme al suo gruppo di amici bolognesi, riesce a trovare un finanziamento e realizza il primo lungometraggio Balsamus, l’uomo di Satana, a cui ne farà seguito un secondo Thomas… gli indemoniati, che però causa fallimento del distributore non sarà prodotto. 
Dopo varie traversie e grazie alla partecipazione straordinaria di Ugo Tognazzi riesce finalmente a realizzare l’opera che lo lancia definitivamente nel circuito professionale cinematografico, La mazurka del Barone, della Santa e del fico fiorone (1974), seguito dallo stravagante Bordella (1975) – vittima di un assurdo sequestro che lo penalizzerà fortemente a livello commerciale – e da quello che è considerato un cult del genere, La casa dalle finestre che ridono (1976). 
Da allora ha realizzato più di 50 film, tra cui Le strelle nel fosso (1978) – ritenuto una delle vette poetiche più alte della sua filmografia - celeberrime serie televisive come Jazz Band (1977), Cinema!!! (1978), Aiutami a sognare (1981), Dancing Paradise (1982) e Un matrimonio (2013), gli horror divenuti di culto Zeder (1983) e L’arcano incantatore (1996), oltre ad una serie di special televisivi e spot commerciali. Ha presentato le sue opere a parecchi festival cinematografici internazionali tra cui Berlino, Cannes e Venezia, dove ha riscosso grandissimo successo con pellicole di alto valore artistico come Una gita scolastica (1983), Noi tre (1984), Impiegati (1985), Regalo di Natale (1986), Storia di ragazzi e ragazze (1989), Bix (1991), Fratelli e sorelle (1992), Magnificat (1993), Dichiarazioni d’amore (1994), Festival (1996), Il Testimone dello Sposo (1997), Il cuore altrove (2003), La seconda notte di nozze (2005), Il papà di Giovanna (2008). Avati ha vinto sette Nastri d’Argento e tre David di Donatello, più altri innumerevoli premi.

Con uno stile inconfondibile e originale, il regista, nella sua lunga carriera, ha raccontato nelle sue storie il mondo delle emozioni umane attraverso una drammaturgia intima, uno sguardo nitido e personale, diretto e senza filtri ma anche tenero e compassionevole. Così nel suo cinema i sogni e le speranze, ma al tempo stesso le debolezze, le sconfitte e le disillusioni della vita concreta, assumono i tratti di realtà viva: è l’accettazione comprensiva e consapevole, anche se non giustificante, della fragilità e dell’imperfezione umana, il racconto e la riflessione sull’esistenza. Nel suo continuo scandagliare l’animo umano, attraverso la sua capacità e abilità di spaziare tra i generi (storico, horror, commedia, dramma), Avati ci consegna sempre la sua visione e il suo amore per la vita e l’umanità intera.

Dante (2021), l’ultima pellicola realizzata da Avati, ha incontrato enormi difficoltà nella sua concretizzazione, a partire da una genesi molto lunga attraverso quasi vent’anni di studi, oltre alla ricerca di un partner produttivo che affiancasse Duea Film (società dello stesso regista e di suo fratello Antonio, produttore e quasi sempre coautore delle pellicole prodotte dalla Duea) nella realizzazione di un’opera ambiziosa che mirava per prima ad essere ambasciatrice del genio italico. Nell’affrontare l’impresa, l’autore ha posto in primo piano il più grande estimatore e biografo di Dante, Giovanni Boccaccio, raccontando il viaggio che egli stesso compì sulle tracce del poeta in fuga da Firenze dopo la sua condanna a morte. Il regista voleva mostrare e diffondere la figura di Dante in un’opera che liberasse il personaggio dagli stereotipi più conosciuti, facendolo scendere dalle cattedre scolastiche per avvicinarlo agli interlocutori prima di tutto come essere umano, attraverso le sue emozioni, la sua sofferenza e la sua vita travagliata, che il poeta stesso trasfigurò e sublimò nella sua poesia.
 

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