\\ Premio Divulgazione scientifica
Margherita De Bac

Sono nata a Roma il 2 marzo 1958. Volevo diventare archeologa perché pensavo fosse il mestiere ideale per una che a scuola, al liceo Tasso, eccelleva in latino e greco. Covavo però un sogno che mai ritenevo potesse realizzarsi, diventare giornalista non di un quotidiano qualsiasi ma del Corriere della Sera. Il giornale che veniva letto a casa.
Mi iscrissi alla facoltà di Lettere, università La Sapienza. Sostenevo con successo esami impegnativi davanti ai migliori docenti di quegli anni. Ricordo epigrafia greca, epigrafia romana, topografia di Roma e dell’Italia antica, numismatica greca e romana. Partecipavo a progetti di scavo sul Palatino, presso il tempio della Magna Mater. Contemporaneamente davo lezioni di tennis e lavoravo come “rinforzo” nell’ufficio stampa della Federtennis durante gli internazionali d’Italia e la Coppa Davis.
Un giorno confidai a un amico fotografo che mi sarebbe piaciuto scrivere. Mi presentò al direttore di un mensile che stava per uscire in edicola, Il Tennista. Lui mi chiese un pezzo a piacere, forse per liquidarmi. Gli piacque. Cominciai a collaborare, poi entrai in redazione e a quel punto nessuna esitazione. Mi “licenziai” dagli scavi al Palatino e decisi che avrei cambiato strada. Ho terminato comunque gli studi e nell’83 mi sono laureata in lettere, con una tesi in storia medievale.
L’esperienza nella rivista si è interrotta quando cambiò direttore e proprietà. Venni subito presa in pianta stabile all’ufficio stampa della Federtennis. Anni bellissimi. La mia stanza si trovava al Foro Italico, proprio davanti ai campi. All’ora di pranzo col mio collega chiudevamo “bottega” e andavamo a giocare al centrale.
Poi il secondo colpo di fortuna. Una mattina un giornalista della redazione sportiva del Corriere mi chiese se mi andava di cominciare a collaborare per le pagine di Roma per occuparmi di circoli romani. Cominciò così, fino a quando si liberò un posto allo sport. Assunta il primo ottobre dell’87.
Ho seguito il calcio, il basket, gli sport minori, le partite in notturna fra squadre di seconda fascia, forse anche di terza. Intervistavo i giocatori nell’anticamera degli spogliatoi. Ma servizi sul tennis no, non me ne assegnavano.
Nel ‘90 il nuovo capocronista, Paolo Graldi, mi spostò quasi d’autorità alla sanità, convinto che il fatto di avere un papà medico e professore universitario mi avrebbe aiutata a muovermi nel nuovo mondo. Sosteneva che “avevo odorato la medicina in casa” e che quindi avrei saputo orientarmi in fretta. Aveva ragione. Da allora seguo con passione questo settore, dopo tanti anni non ho perso la curiosità e la voglia di andare oltre. Sanità, medicina, bioetica sono gli ambiti in cui mi muovo meglio. Ho seguito per il Corriere i principali e spinosi avvenimenti degli ultimi 30 anni. Il caso Di Bella, il caso Stamina, le maggiori emergenze infettive, fino all’ultima pandemia del 2020. Da 6 anni conduco con molta soddisfazione un programma su La7 e organizzo corsi di comunicazione per i medici. Ho scritto alcuni libri su temi inerenti la salute, due dei quali dedicati alle malattie rare. Nessuno se ne occupava, non si sapeva cosa fossero. Ho semplicemente raccontato la storia di malati e famiglie, i loro sentimenti. Mi sono rimasti nel cuore. È il contributo maggiore che, attraverso il giornalismo, penso di aver dato alla società. Dare voce a chi non ne ha.
