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\\ Premio Giornalista Scrittore

Maurizio Molinari

Direttore la Repubblica

Maurizio Molinari orizzontale approvato.

 

Maurizio Molinari, nato a Roma nel 1964, studia al Manchester College di Oxford e all'Università ebraica di Gerusalemme prima di laurearsi all’Università “La Sapienza” di Roma in Scienze Politiche nel 1989 e in Storia nel 1993, alunno di Renzo De Felice, Pietro Scopppla e Ferdinando Cordova.

 

Giornalista professionista dal 1989, inizia a lavorare alla Voce Repubblicana per poi continuare al Tempo, l’Opinione e l’Indipendente. Il 1 gennaio 2016 diventa direttore del quotidiano La Stampa per il quale lavora dal 1997 ed è stato corrispondente da Bruxelles, New York-Washington e Gerusalemme-Ramallah. Dal 23 aprile 2020 è direttore di Repubblica e direttore editoriale del gruppo Gedi.

 

Nella sua carriera ha coperto i conflitti nei Balcani, in Medio Oriente e nel Corno d’Africa. Ed ha intervistato personaggi come i presidenti Usa Barack Obama e George W. Bush, i Segretari di Stato Condoleezza Rice, Henry Kissinger, Madeleine Albright e John Kerry, i Segretari generali dell'Onu Kofi Annan e Ban Ki Moon, i sindaci di New York Michael Bloomberg e Rudolph Giuliani, il colonnello libico Gheddafi, i leader israeliani Netanyahu, Peres e Rivlin, i leader palestinesi Yasser Arafat e Abu Mazen, il presidente turco Erdogan, il ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Velayati, il leader del Pkk Abdullah Ocalan, il presidente del Kurdistan Massoud Barazani e il banchiere David Rockefeller.

 

È stato il primo direttore di un giornale italiano a debuttare con un video-editoriale su Internet, crede nell’informazione di qualità su ogni piattaforma, nella fusione fra carta e web, nel lavoro di squadra e nell’idea di un quotidiano come “comunità intellettuale capace di riunire giornalisti, lettori e le loro famiglie”. L’arrivo a Repubblica ha coinciso con il progetto di una trasformazione industriale a favore del digitale che ha portato all’introduzione sul mercato editoriale italiano di nuovi contenuti - dai Longform al videoreporting - che hanno registrato successi di traffico ed abbonamenti. Il 20 agosto ha firmato un editoriale con cui ha schierato Repubblica per il “NO” al referendum costituzionale sulla riduzione dei numero dei parlamentari “perché è un taglio semplice non accompagnato da un progetto di riforma”.

 

Molinari è autore di 22 volumi frutto di passione ed esperienza nel racconto di mondi diversi. L’ultima fatica è appena uscita in libreria per i tipi di Rizzoli, si intitola “L’Atlante del mondo del cambia” e descrive i grandi fenomeni del nostro tempo. Nel 2019 ha pubblicato “Assedio all’Occidente” sugli scenario della seconda guerra fredda (Nave di Teseo). Al populismo sono dedicati “Il ritorno delle tribù” (Rizzoli, 2017) e “Perché è successo qui” (Nave di Teseo, 2018). “Il Califfato del Terrore" (Rizzoli, 2015) e “Jihad" (Rizzoli, 2016) descrivono origini e scenari del terrorismo islamico. Gli “Ebrei di New York” (Laterza, 2007) e “Gli italiani di New York” (Laterza, 2011) consentono di esplorare storie, quartieri e personaggi della Grande Mela. Le biografie dei presidenti americani George W. Bush e Barack Obama (Laterza 2004 e Laterza 2009) accompagnano il lettore dentro i segreti della politica americana così come “L’Italia vista dalla Cia” (Laterza, 2012) e “Governo Ombra” (Rizzoli, 2015) sono frutto della declassificazione di centinaia di documenti segreti del governo degli Stati Uniti. All’ebraismo italiano ha dedicato tre libri: “Ebrei in Italia, un problema d’identità” (La Giuntina, 1991), “Gli ebrei e la sinistra in Italia” (Corbaccio, 1995) e “Duello nel Ghetto” (Rizzoli, 2017).

 

Appassionato di Storia contemporanea, viaggi e idiomi, è sposato dal 1994 con Micol e hanno quattro figli, tutti nati a New York. Il giorno delle nozze Molinari era disoccupato a causa della chiusura dell’Indipendente: andarono in luna di miele in Nuova Zelanda. Fra le sue letture preferite, “Moby Dick” di Herman Melville, “Il sangue della speranza” di Samuel Pisar e “Il giorno più lungo” di Cornelius Ryan. Quando gli hanno chiesto chi considera come modelli di giornalismo ha risposto: “Alberto Ronchey e Arrigo Levi”.

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